Pericolosità geologiche
- AREE SOGGETTE AI SINKHOLESIl censimento dei sinkholes e l'individuazione delle aree a rischio sono utili ai fini dello studio della suscettibilità del territorio al dissesto idrogeologico; essi derivano da ricerche e sopralluoghi svolti in sito dal personale specializzato di ISPRA e sono costantemente registrati nel Database nazionale dei sinkholes-ISPRA . I fenomeni di sinkholes si verificano sul territorio italiano da tempi storici, quando le cause e i meccanismi genetici di innesco erano ancora sconosciuti. Le fonti storiche ci confermano che gli sprofondamenti catastrofici erano già noti in epoca romana, e con frequenza centennale hanno interessato le medesime aree, laddove i primi fenomeni erano stati obliterati artificialmente o naturalmente. Sono stati censiti e studiati dall’ISPRA oltre 1.500 casi di sprofondamento naturale in aree di pianura, ed effettuati sopralluoghi e analisi di dettaglio in sito su più di 500 casi. I fenomeni naturali censiti si concentrano in conche intramontane, in valli alluvionali e in pianure costiere; subordinatamente alcuni fenomeni sono stati rinvenuti su fasce pedemontane di raccordo con aree di pianura e in piccole depressioni intracollinari. Essi sono connessi ai fenomeni carsici e alla circolazione di acque in pressione nel sottosuolo. Le aree suscettibili ai sinkholes naturali, per ora circa 200, si concentrano sul medio versante tirrenico e in particolare nel Lazio, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Campania e Toscana. Il versante adriatico, a causa del proprio assetto geologico-strutturale, non è interessato da questo tipo di sinkholes, così come l’arco Alpino e le Dolomiti. I fenomeni di natura antropogenica, invece, sono connessi a reticoli caveali sotterranei scavati dall’uomo per lo più per l’approvvigionamento di materiale da costruzione. Molte città sono interessate dal fenomeno, soprattutto le grandi aree urbane ubicate su terreni oggetti di coltivazione mineraria, quali Roma, Napoli, Cagliari e Palermo. Nei centri urbani, non capoluogo di provincia, sono stati registrati più di 1.000 casi. Più di 3.300 fenomeni di sprofondamento sono stati registrati a Roma e alcune centinaia a Napoli.BENI CULTURALI ESPOSTI A FRANE E ALLUVIONII beni culturali a rischio frane sono 36.738, dei quali 11.833 sono ubicati in aree a pericolosità elevata P3 e molto elevata P4. I beni culturali a rischio alluvioni sono 39.472 nello scenario di pericolosità idraulica bassa P1, di cui 30.825 nello scenario di pericolosità idraulica media P2.COMUNI INTERESSATI DA SUBSIDENZADai dati raccolti, il fenomeno coinvolge circa il 14% dei comuni italiani, prevalentemente situati nelle regioni del nord Italia, in particolare nella Pianura padana, mentre nell'Italia centrale e meridionale il fenomeno interessa prevalentemente le pianure costiere.EVENTI ALLUVIONALIIl 2018 è stato contrassegnato da diciannove eventi parossistici caratterizzati da elevati quantitativi di piogge concentratesi spesso nell’arco di una giornata, che hanno causato fenomeni di "flash flood” (alluvioni improvvise), sia in ambito urbanizzato sia in ambito rurale. Notevoli danni al patrimonio forestale sono anche stati estesamente causati dai forti colpi di vento della tempesta Vaia, che ha interessato il centro-nord Italia alla fine di ottobre. Per il resto, rotture arginali, esondazioni, fenomeni erosivi, fenomeni di sovralluvionamento, frane, mareggiate costiere hanno da sempre interessato un territorio fragile e contraddistinto da dinamiche attive per proprietà endemiche come quello italiano, che mostra per questo un’elevata propensione al dissesto. Negli ultimi decenni, tuttavia, a questa componente naturale si vanno a sovrapporre gli effetti dovuti sia alla trasformazione che il territorio urbanizzato ha progressivamente subito, sia alle modificazioni che il clima sta mostrando a scala globale, che in Italia si traducono nell’aumento delle temperature, nella contrazione complessiva delle precipitazioni e nella loro anomala distribuzione entro intervalli di tempo estremamente ristretti. Gli effetti delle modificazioni del clima sembrano confermarsi anche per il 2018 caratterizzato da un’elevata estremizzazione degli eventi, soprattutto per quanto riguarda quelli di tipo alluvionali. L’indicatore, oltre al principale obiettivo di catalogazione degli eventi, può offrire un contributo all’esame dell’effetto combinato di fenomeni naturali e modificazioni climatiche e/o territoriali, in parte legate anche alle attività antropiche, per i quali l’effetto risulta ad oggi piuttosto problematico quantificare le relative componenti.EVENTI FRANOSIL'indicatore fornisce informazioni sui principali eventi franosi che hanno causato vittime, feriti, evacuati e danni a edifici, beni culturali, infrastrutture lineari di comunicazione primarie e infrastrutture/reti di servizi sul territorio nazionale nell’ultimo anno. I principali eventi di frana, verificatisi nel 2018, sono stati 157 e hanno causato 12 morti e 29 feriti.INVASI ARTIFICIALIA settembre 2019 il numero totale di grandi dighe risulta pari a 531, con 2 dighe in meno rispetto all’anno precedente di cui una rivalutata come piccola diga, l’altra, invece, fuori esercizio definitivo. Dalla distribuzione delle grandi dighe rispetto alle zone sismiche risulta che il 6,4% ricade nella zona sismica 1, a più alta pericolosità. Per le piccole dighe a settembre 2019 si evidenzia l’esistenza di 3.660 piccoli invasi a fronte di 3.647 del 2018. Per quanto concerne le piccole dighe, l’8% ricade nella zona sismica 1 ad alto livello di pericolosità, interessando le regioni Friuli-Venezia Giulia, Marche, Lazio, Abruzzo e Calabria.INVENTARIO DEI FENOMENI FRANOSI D'ITALIA (IFFI)Le frane in Italia sono 620.808 (periodo di riferimento 1116-2017) e interessano un’area di circa 23.700 km2, pari al 7,9% del territorio nazionale. L’Italia è il paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi, con oltre 600.000 frane che rappresentano circa i 2/3 delle frane censite in Europa (Indagine EuroGeoSurveys). Le frane sono estremamente diffuse a causa delle caratteristiche geologiche e morfologiche del territorio italiano, che è per il 75% montano-collinare.
- BENI CULTURALI ESPOSTI A PERICOLOSITA' SISMICAAl 31 dicembre 2018, nei comuni classificati come zone in cui la probabilità che capiti un forte terremoto è alta, sono situati 12.136 beni, pari al 5,9% del totale.BENI CULTURALI ESPOSTI A PERICOLOSITA' VULCANICAI beni culturali che ricadono nella zona stimata da ISPRA a pericolosità elevata sono 3.367 pari all' 1,6% mentre quelli ricadenti nel buffer a pericolosità moderata sono 6.633 pari al 3,2% del totale dei beni culturali italiani.EFFETTI AMBIENTALI DEI TERREMOTIL’indicatore descrive gli effetti indotti sull'ambiente dai terremoti e rappresenta la suscettibilità del territorio italiano a tali effetti. La suscettibilità dipende dal diverso grado di sismicità presente nelle diverse porzioni del territorio italiano e dalle locali caratteristiche geomorfologiche e geologiche. Viene, inoltre, presentata una mappa dei valori ESI (Environmental Seismic Intensity) che sono stati raggiunti durante la storia sismica conosciuta nel territorio italiano e che sono rappresentativi degli effetti che potrebbero riverificarsi in futuro a seguito di terremoti analoghi. Nel 2018 si è ancora protratta la sequenza sismica iniziata nel 2016 nel Centro Italia, ma con un numero sensibilmente minore di aftershock rispetto al 2017 (si veda Indicatore Eventi sismici). La moderata magnitudo di tali eventi non ha indotto sull'ambiente effetti di rilievo. Il terremoto di Montecilfone (CB) del 16 agosto 2018 di Magnitudo Momento 5,1 ha indotto decine di frane (riattivazione di scorrimenti in terra) in un raggio di circa 2 chilometri dall'epicentro. Di rilievo sono stati, infine, gli effetti ambientali indotti dalla sequenza avvenuta lungo il fianco orientale dell'Etna, con mainshock di Magnitudo Momento 4,9 il 26 dicembre. In particolare, si sono verificati effetti di fagliazione superficiale per oltre 5 chilometri di lunghezza (si veda Indicatore Fagliazione superficiale) e qualche fenomeno franoso.ERUZIONI VULCANICHEL’indicatore è definito dal numero di eruzioni vulcaniche registrate nel corso dell’anno e che abbiano avuto effetti significativi in termini di interferenza con le attività antropiche. Per quanto concerne l'anno di riferimento (2018), si registra un solo episodio riguardante l'Etna.EVENTI SISMICIL'indicatore descrive gli eventi sismici avvenuti nell’anno di riferimento nel territorio italiano, in base alle Magnitudo registrate dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV. L’indicatore contribuisce a definire la pericolosità sismica in Italia. Nel 2018 nessun evento sismico ha raggiunto Magnitudo 6. Un solo evento, avvenuto il 16 agosto con epicentro a Montecilfone (CB), ha di poco superato Magnitudo 5 (Mw 5,1), preceduto, due giorni prima da un evento di M 4,6 e seguito, due ore dopo, da un aftershock di M 4,4. I terremoti di Magnitudo pari o superiore a 4 sono stati nel complesso 16, 14 dei quali in Italia meridionale e, tra questi, 4 nel Tirreno meridionale. Degna di rilievo è, inoltre, la sequenza sismica che ha interessato il fianco orientale dell'Etna, culminata con il terremoto di Mw 4,9 del 26 dicembre, che ha indotto fenomeni di fagliazione superficiale per una lunghezza di oltre 5 chilometri e procurato gravi danneggiamenti al patrimonio edilizio nell'area epicentrale.FAGLIAZIONE SUPERFICIALE (FAGLIE CAPACI)L'indicatore fornisce informazioni su eventi di fagliazione superficiale associati alla riattivazione di faglie capaci che interessano il territorio italiano, generalmente in occasione di forti terremoti, ma anche a seguito di terremoti di magnitudo relativamente bassa, se questi sono superficiali, come avviene in contesti vulcano-tettonici, quale ad esempio quello dell’Etna. Proprio nell’area etnea, a seguito del terremoto di Fleri del 26 dicembre nel 2018 (Mw 4.9, H=1 km; INGV), si è riattivato, come altre volte nel recente passato, il sistema di faglie Fiandaca - Acicatena - Aciplatani. Lungo la faglia di Fiandaca è stata documentata una fagliazione superficiale per una lunghezza di circa 5 km. La rottura lungo la faglia di Aciplatani non è stata invece cosismica, ma è comparsa alcune ore dopo l’evento sismico, con fratture aperte pochi cm che dopo alcuni giorni dall’evento hanno raggiunto una lunghezza totale di circa 700 metri. Questi movimenti asismici, cioè non legati a sismi, di dicono per creep, e sono comuni in alcuni settori dell’apparato etneo. Il danneggiamento legato all’evento sismico è stato localizzato essenzialmente lungo le zone di fagliazione superficiale, che erano state interessate dallo stesso fenomeno più volte in passato, anche molto recentemente, a dimostrazione dell’importanza di evidenziare le aree ove sono presenti faglie capaci e di tenerne conto nella pianificazione territoriale. Le faglie che si sono riattivate nel 2018 erano già contenute nel database ITHACA, l'inventario delle faglie capaci in Italia realizzato da ISPRA, che fornisce lo stato delle conoscenze sulla distribuzione nel territorio nazionale delle faglie potenzialmente in grado di produrre fagliazione in superficie.